Dominik Livaković

Croazia

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    The Boss

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    Sembra quasi un lascito ereditario. Una consegna, come quel ciondolo che le nonne tramandano alle nipoti. Quattro anni dopo, un altro portiere croato trascina la squadra avanti nel torneo Mondiale. Tre rigori parati non sono esattamente roba per tutti. Ma Dominik Livakovic aveva potuto studiare da vicino come fare. Una lezione imparata perfettamente. Era in panchina, nel 2018, quando Subasic aveva fermato tre tiri dei danesi nella sequenza dei rigori. Lui ha guardato. E ha fatto lo stesso contro il Giappone: le mani sulla qualificazione della Croazia le ha messe Dominik, tre tiri parati su quattro dopo 120 minuti noiosetti. Ci erano riusciti prima di lui soltanto altri due portieri, Ricardo nel 2006 e proprio Subasic quattro anni fa. Non solo croato come Livakovic, ma entrambi dalmati, di Zara, posticino da 75 mila abitanti, col travagliato passato italiano eredità della prima guerra mondiale.

    Era in lacrime il giapponese Mitoma a fine partita, a capo chino tirava su col naso davanti al plotone di microfoni spietati. Idem Minamino, un po’ più composto Yoshida. Le tre tacche sulla cintura del portiere croato. Anni fa del suo talento si accorse anche un certo José Mourinho: quando la Dinamo Zagabria eliminò il suo Tottenham dall’Europa League, lo Special entro nello spogliatoio dei croati e fece i complimenti a tutti, uno per uno. In particolare a quel portiere insuperabile. Se ne ricordò poi arrivando alla Roma, anche se alla fine preferì l’esperienza di Rui Patricio.

    Livakovic è il classico ragazzo che i genitori avrebbero voluto dottore: nonni medici, radiologi, il papà Zdravko invece è ingegnere edile. Ha persino ricoperto un incarico pubblico di rilievo: sottosegretario del Mare e del Turismo (anni prima finì in un’inchiesta per corruzione da cui uscì pulito). Dominik è tutt’altro che il ragazzo con poca voglia di studiare, però: si era persino iscritto alla facoltà diplomazia e relazioni internazionali, prima che la carriera lo costringesse a guardare altrove. “Ma lo riprenderò”, ha promesso. Certo, che la sua vocazione fosse un’altra lo aveva capito presto: da bambino, a sei anni, impiegò due allenamenti per decidere di fare il portiere. Lo accompagnava il nonno, “e il merito è tutto suo, mi ha spinto lui”. Aveva anche provato col basket, ma più che infilare la palla in un canestro, riusciva a evitare che finisse in porta. Non ha più smesso, anche se forse non ha avuto la carriera che avrebbe potuto: la porta della nazionale croata è diventata sua soltanto nel 2020, e già al debutto – nel 2017, in amichevole col CIle – finì ai rigori. Ma non bene, visto che non ne prese nessuno.

    Dopo la serata magica contro il Giappone invece è diventato “San Domenico”, in un post della sua Dinamo. I compagni invece lo hanno celebrato nello spogliatoio: “È stato decisivo e glielo abbiamo detto, parare tre rigori in una partita non è una cosa normale”, ci ha detto il torinista Nikola Vlasic lasciando lo stadio. Lo è stato, Dominik. Il segreto? “Subasic mi ha insegnato che la cosa più importante per un portiere è restare calmo”. Anche dopo una serata da star.

     
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